martedì 13 dicembre 2011

L'Europeo e il buon fotogiornalismo


Il magazine (in italiano sarebbe rivista, o, in maniera più fiscale, supplemento illustrato) L'Europeo non è nuovo al nostro sito: ne abbiamo già parlato in occasione dell'ultimo World Press Photo.

I numeri di ottobre e novembre 2011 ci permettono di tornare ad affermare che la buona strada intrapresa continua: infatti possiamo leggere e vedere un esteso reportage collettivo, prodotto dall'agenzia Noor, sullo stato del pianeta, in relazione ai cambiamenti climatici.

L'Europeo numero 10, intitolato "Il pianeta ferito", è un approfondito esame delle realtà più critiche della Terra: Nina Berman, Philip Blenkinsop, Pep Bonet, Alixandra Fazzina, Jan Grarup, Stanley Greene, Yuri Kozyrev, Kadi van Lohuizen, Jon Lowenstein e Francesco Zizola sono stati nelle fonderie in Siberia, tra le sabbie del Corno d'Africa, sulle rive asciutte dei laghi della California. E poi nell'Amazzonia trasformata in pascolo, alle Maldive sempre più sommerse e in una Groenlandia sempre più fangosa. Nelle viscere della Polonia e tra gli sfollati dai monsoni in Pakistan, in Canada tra le foreste divorate dai parassiti e dove si estrae combustibile dalla sabbia e in molti altri posti dove la follia dell'uomo ha l'effetto di una mortale offesa alla salute del pianeta. L'introduzione, di Claudia Hinterseer (cofondatrice di Noor), delinea i contorni del gigantesco progetto in due parti, intitolate "Consequences", a breve distanza seguito da "Solutions", ovvero criticità e speranze nella gestione del pianeta, sottolineandone l'approccio globale e l'ampio respiro.

Infatti è con il numero 11 (novembre 2011) intitolato "La terra promessa" che L'Europeo pubblica la seconda parte di questo lavoro collettivo. Gli stessi autori di "Consequences" (ad eccezione di Grarup) ci conducono tra gli orti del Bronx, nei parchi eolici cinesi, nel Brasile del biodiesel e nelle foreste ripiantumate del Congo. Oppure nelle comuni ecologiche della Russia, tra i ciclisti del Bangladesh e nell'Islanda della geotermia. E anche a Cuba o in Kenya, alla ricerca di un nuovo equilibrio energetico. In questo modo i fotografi di Noor riescono a testimoniare alcune piccole ma promettenti realtà che segnano la frontiera di una possibile inversione di tendenza rispetto all'apocalisse termica planetaria.

A differenza del lavoro di Noor (sul quale non abbiamo alcun dubbio), capita molto spesso che sia la messa in pagina a segnare la mancanza di rispetto per la fotografia e per il giornalismo. Ma per molti motivi il lavoro della redazione de L'Europeo è da segnalare come assolutamente al di sopra della media. L’alta qualità dei lavori pubblicati, autonomi ma organici ad un progetto complessivo di grande respiro, in questo caso può beneficiare di un trattamento dignitoso e felice.

L'impaginazione della rivista è solida e rigorosa: le immagini si alternano senza sovrapporsi e senza essere mai sovrastate da parole, nemmeno quando fanno da corollario a introduzioni e sommari; la qualità della stampa, nonostante non si tratti di carta di alta grammatura, è tale da permettere di distinguere le differenze di stile, anche sottili, tra i diversi autori.
Ogni singolo servizio è accompagnato da un testo che inquadra e spiega le immagini, in alcuni casi a cura dei fotografi stessi. Ciò nonostante ogni foto è corredata da una didascalia: le date di realizzazione delle foto, i luoghi e altri particolari sono indicati per ciascuno degli scatti, permettendoci di collocare (anche nel tempo) il lavoro dei fotografi. Questa prassi, assai poco comune, è un buon indice di correttezza nei confronti dei lettori.

Per completare entrambi i numeri della rivista, L'Europeo pubblica anche alcune interviste ad esperti in materia (ecologisti, meteorologi, giornalisti) e alcuni contributi scritti scelti dall'archivio. Spicca, ad esempio, un articolo di Ettore Mo del 1984, inviato per “il Corriere della Sera” in Polonia, completato da un "com'è andata a finire", scritto ai giorni nostri.

Aggiungiamo infine che "Solutions" è fruibile anche sotto forma di mostra, a Roma (fino al 16 dicembre) presso la galleria 10b Photography.

Non conosciamo i dati reali di vendita de L'Europeo, né il gradimento del pubblico in merito a queste uscite. Certo che nel panorama desolato dell'editoria periodica e di massa italiana queste realizzazioni spiccano per contrasto. Il lavoro della redazione (che, curiosamente, non ha photoeditor tra le sue fila) brilla per rigore e correttezza. E si distacca in particolar modo da ciò che viene mostrato tutti i giorni dal quotidiano "di riferimento", della stessa casa editrice: se al Corriere decidessero di prendere esempio, il fotogiornalismo (e tutti i lettori) avrebbe molto da guadagnare.

Matteo Bergamini, 11 dicembre 2011

venerdì 12 ottobre 2007

Fotogiornalismo da ascoltare: una panoramica

E' d'obbligo cominciare dal titolo del convegno: perchè fotogiornalismo 2.0

Con il termine web 2.0 - nella pratica - si identifica un'evoluzione di Internet avvenuta grazie ad una serie di tecnologie di programmazione che hanno dato vita a siti web - gratuiti - con caratteristiche, possibilità, aspetto, facilità e velocità d'uso molto simili se non identici ai tradizionali programmi che siamo soliti installare ed utilizzare sul nostro computer.
Insomma esistono oggi dei programmi mascherati da siti web o siti web che contengono programmi con i quali possiamo svolgere le consuete operazioni che fino a poco tempo fa potevamo effettuare solo con software contenuti dal nostro computer.

Ad esempio ci sono servizi on line (siti) che consentono di redarre testi e documenti con le stesse modalità dei più diffusi programmi di scrittura (in parole povere, simili a Word); ci sono siti-programmi per la memorizzazione delle pagine web preferite o utili; ci sono siti-programmi per la gestione delle immagini, ci sono siti-programmi, più o meno semplici, per la costruzione di pagine web, ecc. ecc.


Le caratteristiche di questo nuovo mondo, denominato web 2.0 sono:
  • il fatto che i programmi e i documenti da essi prodotti stanno on line (e non vanno quindi ad intasare la memoria del nostro computer, ma stanno sul web, nella rete),
  • la facilità e libertà di accesso (sono gratis!),
  • la velocità di produzione e memorizzazione di documenti per noi utili (a seconda delle nostre esigenze, anche professionali)
  • e - soprattutto - la facilità di condivisione e quindi di diffusione di questi documenti (quando parlo di condivisione non intendo soltanto la possibilità di mostrarli immediatamente ad altri utenti o colleghi, ma anche la possibilità di lavorarci a più mani e di distribuirli su altri siti o blog).
Naturalmente il tutto è condito dalla possibilità per i gestori del servizio di propinarci pubblicità attraverso questi loro siti-servizi.

Quindi il concetto di web 2.0 ben si adatta all'attualità del fotogiornalismo, caratterizzato - come vedremo - da presenza sul web sempre più massiccia, facilità di accesso, velocità e facilità di condivisione e diffusione, e infine soggetto alle logiche della pubblicità.
Da qui il titolo di questo convegno

Entrando nel merito: i lavori che meglio di altri esemplificano questo tipo di fotogiornalismo sono quelli che io d'ora in avanti chiamerò "audiovisivi". Potrei usare termini inglesi come "interactive features" o "audioslideshow" o "on line photojournalism", ma questa traduzione italiana - una volta tanto - ben racchiude e riassume tutte le caratteristiche dei lavori di cui andremo a parlare.

Gli audiovisivi, in voga ormai da qualche anno, sono una realtà consolidata del fotogiornalismo contemporaneo: sono servizi fotografici abbinati a contributi audio registrati in presa diretta (spesso dallo stesso fotografo, ma non necessariamente) e montati in modo da ottenere un breve filmato da fruire comodamente on line. Parlando più tecnicamente sono dei files in formato flash o delle semplici pagine web o addirittura files video: molto leggeri, facilmente esportabili sui siti e facilmente scaricabili dal visitatore.

Quindi l'introduzione dell'audio (con interviste, testimonianze, rumori di sottofondo, voci narranti) è la vera novità in questo settore del giornalismo e della fotografia: ecco dunque spiegato anche il titolo del mio intervento "Fotogiornalismo da ascoltare", che - devo essere sincero - ho ripreso e adattato da un articolo apparso su Poynter.org intitolato "Photojournalism: the era of the ear" (l'era dell'orecchio, l'era dell'ascolto").



Guardatevi dunque uno di questi lavori: Kingsley's Crtossing : il viaggio di sei mesi del 23enne Kingsley, un ragazzo camerunense che decide di abbandonare il suo paese, la sua famiglia, i suoi amici, per cercare fortuna in Europa; sei mesi di traversata dal Cameroun alla Francia (passando per Nigeria, Algeria, Marocco, Spagna), documentati in ogni momento dal fotografo Olivier Jobard di Sipa Press.


Come avete visto l'audio si integra con le foto, ne accresce il valore informativo, il tutto è molto efficace da un punto di vista giornalistico, e anche interessante da vedere e da ascoltare grazie all'uso del montaggio e della grafica.
Un lavoro professionale che è un modo per fare buona informazione, di fare approfondimento, di raccontare storie e un ottimo modo per interessare alle tematiche di attualità chi solitamente ne sta alla larga.

Con questi prodotti si abbinano informazione e divulgazione, il tutto - talvolta, non sempre - valorizzando l'immagine fotografica e riportandola ad una popolarità che sembrava perduta. Questo grazie alla facilità di accesso, e all'utilizzo della rete che per sua natura permette di trattare argomenti che probabilmente gli altri media, soprattutto la televisione, faticherebbero a proporre (per logiche editoriali più morbide se non spalmate su esigenze economiche o politiche). Inoltre l'audiovisivo consente di approfondire e diffondere il tema affrontato con una ricchezza e una quantità di materiale impensabile per qualsiasi altro mass media (un numero così alto di immagini non potrebbe trovare spazio su una rivista, ad esempio).

Quindi: bello! Tutto molto bello! Interessante, appagante!
Ce ne sono tantissimi in rete di questi audiovisivi fotogiornalistici, tanto che alcuni siti si sono presi la briga di raccoglierli, ad esempio Interactive Narratives (del prof. De Vigal), Photography Channel e altri.



I concorsi Best of Photojournalism (organizzato da NPPA), National Magazine Awards (della American Society of Magazine Editors), Pictures of the Year International, hanno istituito delle categorie riservate al fotogiornalismo mutimediale (dai quali sono tratti molti lavori che vi mostrerò); recentemente - la stessa NPPA ha organizzato un richiestissimo e frequentatissimo workshop per la realizzazione di audiovisivi fotogiornalistici; insomma un successo. Un successo che - ripeto - si sta consolidando.



Ma non è tutto qui.
Ci sono ben altre logiche e motivazioni che hanno decretato il successo e lo sviluppo degli audiovisivi fotogiornalistici.

Per individuarle occorre partire da alcune analisi statistiche compiute sulla cosiddetta readership o indice di lettura.

La readership è l'insieme dei lettori di una certa testata. Viene misurata e segmentata con apposite indagini compiute periodicamente da istituti specializzati e indipendenti dagli editori. Non deve essere confusa con la tiratura (numero di copie stampate) nè con la diffusione (numero di copie distribuite). In base alla readership viene determinato il costo per contatto di un annuncio.

Ricerche sulla readership (indice di lettura) relative alle testate italiane sono facilmente consultabili on line sul sito di Audipress, dove per esempio possiamo tra l'altro trovare anche questa interessante indagine sulla fonte di provenienza della copia. Che cito anche perchè è un riscontro sui dati dell'episodio riferito da Sabadin nel suo libro "L'ultima copia del New York Times": il ragazzo spagnolo, affezionato lettore de "La Vanguardia" - giornale che leggeva e apprezzava quotidianamente tanto da scrivere alla redazione per complimentarsi - ma che non aveva mai speso un euro per comprarlo.



Simile, anzi molto più approfondito perchè indaga le abitudini di lettori e visitatori di siti internet e la trasversalità delle loro abitudini di lettori, è lo studio dell'agenzia Scarborough Research [PDF], del 2006, secondo il quale "la readership dei giornali aumenta grazie ai lettori on line" (l'ho trovato grazie a Business & Blog del 5 Settembre 2006).
I siti delle principali testate americane stanno vedendo aumentare la loro audience senza che quest'ultima legga necessariamente l'edizione cartacea.



Per tutte e 25 le testate oggetto dello studio, si registra una chiara tendenza dell'audience alla consultazione della versione on line. L'analisi esamina anche le caratteristiche del lettore dei siti d'informazione, si tratterebbe - sempre secondo lo studio - per lo più di giovani, benestanti, con un elevato livello d'istruzione.
Secondo Gary Meo, Vice Presidente della società autrice della ricerca, i siti Internet sono fattori critici di successo nelle strategie di business dei grandi gruppi editoriali.


Altrettanto interessante lo studio compiuto da McKinsey & Co [PDF disponibile grazie al blog Hagakure], sempre del 2006, il quale dice che, mentre gli investimenti in pubblicità televisiva sono aumentati del 40%, si sta verificando un abbandono dei telespettatori di circa il 50%. Quest'indagine contiene un altro dato interessante, quello che ci spiega il perchè di questo fenomeno:
"I giovani stanno davanti alla Tv metà del tempo degli adulti e stanno on-line per più del 600%. Quelli tra i 18 e i 26 anni stanno più in rete che davanti al video (dato piuttosto noto) e preferiscono blog, podcast e pubblicità on-line."



Pubblicità: ovviamente è questa la parola chiave. Tutti questi studi, ricerche, indagini statistiche vengono fatte per sapere dove andare a prendere i soldi degli inserzionisti: e sembra che questi soldi si trovino sempre più on line, ovvero derivano dalla pubblicità su siti internet.

Sull'onda di ciò alcune decisioni imprenditoriali molto precise e provenienti da luoghi autorevoli: il Washington Post, nel Novembre 2006, nomina Liz Spayd direttore del washingtonpost.com e in occasione del suo insediamento l'editor del giornale Leonard Downie Jr dichiara [via Cyberjournalist] di voler "aumentare la readership del giornale stampato e i visitatori del sito", aggiunge "attraverso lo sviluppo (l'aumento) dei prodotti editoriali e commerciali sul sito web", e si inizia ad investire sulle edizioni on line del giornale a scapito dell'edizione stampata perchè da lì arrivano sempre più introiti pubblicitari.


In questo senso avvengono altri due episodi significativi:
• Il NYT decide di rendere di libera consultazione tutte le sezioni del suo sito web (dopo un periodo in cui alcune di esse erano disponibili solo a pagamento);
• e lo stesso ha intenzione di fare Rupert Murdoch con il sito del Wall Street Journal (unico sito di quotidiano ad essere in attivo grazie agli abbonamenti)

questo perchè evidentemente i ricavi pubblicitari nei prossimi anni potranno superare le entrate derivanti da abbonamenti.

Quindi si riuniscono le redazioni cartacea e digitale dei quotidiani, si forniscono notizie in tempo reale sul web senza attendere la pubblicazione sul cartaceo; di conseguenza si devono trovare strumenti e prodotti per attirare visitatori sul sito.
Perchè sembra, secondo stime recenti, che un giornale debba attrarre tra i 25 e i 30 lettori online per rimpiazzare - in termini di ricavi pubblicitari - la perdita di una singola copia stampata (questo è un dato di cui non riesco a citare la fonte, ma l'ho letto all'interno della rubrica di Marco Pratellesi su Corriere Magazine e mi sembra che ci si possa fidare).




Dunque si devono trovare strumenti per attirare visitatori sul sito e - attenzione - per farceli rimanere: un altro grande problema degli editori è la permanenza sul sito dei visitatori: più tempo stanno su una pagina, maggiore è la possibilità di vedere pubblicità a loro indirizzate. Come ha detto David Klatell, vice direttore della Scuola di Giornalismo della Columbia University in una interessantissima conferenza tenuta alla Fondazione CDS il 26 Settembre 2007, "non è difficile attrarre gente su un sito, ma è molto difficile tenerla lì".

E gli slideshow, ma soprattuto gli audiovisivi lo fanno, ci riescono, funzionano. Lo conferma Vivian Schiller, direttrice generale del nytimes.com che ha recentemente dichiarato:
"Gli slideshows sono decollati come un razzo, hanno rappresentato il 10% delle nostre pagine visitate in Agosto. La nostra stategia è quella di lasciare libera (dare libero sfogo) la creatività dei nostri giornalisti nel raccontare storie e costruire comunità di utenti intorno a specifiche aree di interesse." (fonte: MarketWatch.com del 3 Ottobre 2007, intervista di Jon Friedman).



Lo ha capito Le Monde che ha deciso di dare ampio spazio a Territoires de Fictions

Territoires de fictions è il progetto di un gruppo di 52 fotografi francesi decisi a ridefinire il linguaggio del fotogiornalismo in collaborazione con creativi, montatori, operatori audio e grafici, al fine di realizzare un lavoro sull'identità francese. Da questa collaborazione è nata un nuovo prodotto chiamato "POM" (Petite oeuvre multimédia ovvero Piccola Opera Multimediale). Mischiando giornalismo, creatività, emozione ed astrazione, POM, diffusa in esclusiva su LeMonde.fr durante la campagna presidenziale, offre una varietà di sguardi sulla Francia del 2007.



Zone Sensible è la cronaca dell'attività della polizia francese nelle banlieu parigine (foto di Pierre-Olivier Labbè e Cellà Pernot, montaggio di Didier Richard).

David Klatell (nella stessa conferenza alla Fondazione CdS) è andato oltre quanto detto finora e ha dato delle indicazioni, ha detto: "Che cosa possono vendere i giornali con successo? La risposta è, competenza, analisi. Capacità di creare un contenuto di saggistica, questa sarà la forma principale del quotidiano. Perché le ultime notizie saranno già note a tutta la popolazione. (...) Sarà più un quotidiano di narrativa, sarà un lavoro di narrativa quello che farà il quotidiano. (...) Io preferisco parlare di spiegazione, contestualizzazione quando si deve comprendere la notizia, piuttosto che fornire una opinione personale, anche se un’opinione personale può essere interessante (...). È la spiegazione e la contestualizzazione che sono importanti."

Bene, allora vediamo un lavoro che sembra andare nella direzione prevista da Klatell: l'ho trovato sul Delaware on line grazie ad una segnalazione che Carlo Dalla Pasqua ha postato sul suo blog Reporters.

Little People documenta le vite di persone affette da nanismo, all'ospedale per bambini Alfred I. duPont, di Wilmington, dove genetisti ed ortopedici stanno studiando e cercando di capire il mistero della displasia scheletrica più comunemente conosciuta come nanismo (foto di Suchat Pederson).


Questa è la storia di Chloe.



Ricapitolando:
1. i lettori si spostano su internet (siti e blog) e sui suoi accessori o surrogati (podcast e telefonini); e sono lettori interessanti (giovani, colti e benestanti)
2. la pubblicità li segue), quindi gli inserzionisti migrano sulla rete alla caccia di questa ghiotta preda
3. gli editori assecondano gli inserzionisti e incrementano la loro presenza on line perchè con essa incrementano gli introiti da pubblicità
4. di conseguenza i siti internet sono interessati a fornire prodotti editoriali che tengano sulle pagine del loro sito i visitatori, al fine di fargli vedere sempre più pubblicità
5. quindi gli audiovisivi e i contenuti interattivi sono uno strumento ideale per raggiungere questo scopo, perchè sono graditi al pubblico e consentono al giornale di offrire un prodotto denso di competenza, analisi, narrativa, spiegazioni, contesto: un prodotto giornalistico che raggiunge un duplice scopo: fare informazione di qualità e guadagnare dalla pubblicità

A questo punto tre domande.

La prima è quasi di carattere personale (anche se potrebbe essere condivisa da molti): come spettatore, posso sfuggire alla pubblicità, magari grazie a siti che sono più interessati ai contenuti che non alle inserzioni e che usano gli audiovisivi per scopi estetici o giornalistici o divulgativi? La risposta è sì: siti indipendenti, produttori di prodotti editoriali interattivi, esistono (ad esempio Mediastorm, da cui è stato tratto il primo audiovisivo che ho segnalato) o siti indipendenti (come quello di Brenda Kenneally da cui vedremo "Money and respect" oppure come "Chiloè Stories").

"Money and Respect" di Brenda Kenneally è un lavoro su quartieri degradati di New York dove la diffusione del crack ha creato comunità di persone che convivono con la tossicodipendenza, in vari modi (spacciando, consumandola, tentando di liberarsene). Dice l'autrice: "questo lavoro contiene immagini di tossicodipendenza, ma non è un lavoro sulla droga. E' un lavoro sul desiderio di avere il controllo sul proprio destino. Il commercio del crack ha creato un'economia in certi quartieri dove altre opportunità sembrano essere assenti."



La seconda domanda è scontata ed è la seguente: cosa succederà ai fotografi? Cosa significa questo movimento per i fotografi?
Destinati ad utilizzare l'audio oltre che le immagini, a passare molto tempo in operazioni di editing e di montaggio, a vedere stravolte le dinamiche di esclusiva con cui hanno nel passato riuscivano anche a stabilire un valore per i loro servizi. Chi li ripagherà di questo surplus di lavoro? E quanto dovrebbero o sono pagati per questi nuovi prodotti multimediali, per questo lavoro di giornalismo multimediale che comporta dispendio di energie, di tempo, acquisizione di professionalità nuove?

A queste nuove esigenze dell'editoria sanno rispondere bene i cosiddetti "fotografi di staff" statunitensi (i fotografi interni dei quotidiani: figura pressochè sconosciuta alle redazioni italiane) i quali hanno i mezzi (messi a disposizione dall'editore), l'obbligo (gli editori vogliono - come abbiamo visto - questi prodotti) e anche la necessità di realizzare nuovi e creativi servizi (come ha detto la Schiller del NYT, ma anche perchè - ad un certo punto - si sono trovati a doversi inventare degli strumenti per combattere lo strapotere delle grandi agenzie fotografiche che rischiava di farli fuori, di renderli poco convenienti per i quotidiani). Questi fotogiornalisti tornano ad avere il controllo sull'intero servizio: scelgono le foto, scelgono i tagli di ogni immagine, scelgono la sequenza, scelgono la modalità di presentazione, scelgono il senso e il significato dell'intero servizio grazie a questo lavoro di montaggio e di abbinamento con l'audio (un modo per tornare al fotoreporter degli anni '60 che si metteva accanto all'art director e decideva l'impaginazione del suo servizio).

Ai fotografi soprattutto a quelli di staff, il mezzo piace, tanto da inventarsi strumenti adeguati: Joe Weiss ha inventato un software che rende semplicissimo realizzare questi prodotti, questo programma si chiama SoundSlides ed in pochi colpi di mouse permette di creare un audiovisivo da esportare su un sito web.



Ma qui da noi cosa potrà succedere? Avranno seguito i tentativi di cambiamento che hanno portato all'invenzione e alla diffusione degli audiovisivi fotogiornalistici? Ci sarà una domanda e un'offerta?
Una soluzione è che i giornali italiani si dotino di fotografi di staff: questa potrebbe essere l'occasione, la svolta, affinchè l'editoria italiana si uniformi alle buone abitudini di quella straniera.

Oppure potrebbe succedere che fotografi free lance vengano incaricati di svolgere reportage e inchieste fotogiornalistiche, dato che, secondo l'European Journalism Observatory che cita articoli della Columbia Journalism Review: "l’avvento di Internet sta avendo un duplice effetto: lettori e pubblicità tendono a migrare sulla Rete. Però alcuni giornali resistono meglio di altri. Come? Sebbene la prova empirica sia difficile da ottenere, l’impressione, suffragata da alcuni articoli della nota rivista di settore Columbia Journalism Review, è che il pubblico sia disposto a rinnovare l’abbonamento se il quotidiano è vivace, originale e, soprattutto, se svolge il suo ruolo di «cane da guardia» del sistema. I media che si appiattiscono o che si mostrano troppo compiacenti verso il potere politico perderebbero copie anche operando in condizioni di monopolio."



Il giornalismo di inchiesta fa audience, procura lettori!

E quindi noi ci vediamo un'esempio di queste inchieste, realizzata dal Palm Beach Post e intitolata "Train Jumping". E' un reportage sul tentativo di raggiungere gli Stati Uniti da parte di cittadini del centro america, che dall'Honduras e dal Guatemala passano in Mexico con la speranza di riuscire poi a raggiungere ed attraversare la frontiera americana: il tutto utilizzando clandestinamente i treni locali. Un'odissea di 1500 miglia verso il primo mondo. (foto di Gary Coronado)



Internet può essere uno strumento di grande aiuto per i giornali, certo è - come ha detto Klatell nella sua pluricitata conferenza e come ha scritto Sandro Gilioli in maniera più colorita ma efficace sul suo blog – certo è che "oggi i professionisti della comunicazione sono un po’ come come i famosi industrialotti del Nordest italiano: o imparano a fare prodotti d’eccellenza, o vengono sommersi dall’export cinese."

Il fotogiornalismo deve essere prima di tutto giornalismo, di qualità, di inchiesta. Occorre uscire dall'orticello dei fotografi, che vogliono far vedere quanto sono bravi a realizzare belle immagini, per prendere consapevolezza di appartenere ad un team che lavora per l'informazione e non solo per le foto. Occorre che qualcuno ci consenta di fare questo. Tanto più che fare belle immagini è molto ma molto più semplice che fare buona informazione.

Ma non dimentichiamoci che tutti questi bei discorsi sono appesi ad un filo. Quello della connessione ad internet. Senza quella crolla tutto: la paura della pagina bianca deve farci riflettere.
Come dimostrano i recenti fatti in Birmania: dove il regime si è quasi disinteressato del controllo delle televisioni per imporre invece un black out al collegamento internet dell'intero paese.

Probabilmente le dittature, grezze o sofisticate che siano, gli stati totalitari e il terrorismo avranno sempre meno bisogno di sofisticate armi e sempre più necessità di un paio di forbici o di una lama ben affilata. Altrimenti l'informazione passa, anche e sempre di più grazie ai cittadini giornalisti.

E qui arriva la mia terza domanda: come convivere con l'informazione proveniente dai cittadini giornalisti? Un'informazione spesso utile (vedi G8 di Genova) e dalla quale ormai non si può prescindere (per questioni legate alle innovazioni tecnologiche che consentono di avere strumenti per la produzione di materiali giornalistici a portata di tutti, e per esigenze delle stesse redazioni, che sarebbero stupide a non usare questa risorsa e infatti la usano eccome).
E' una domanda alla quale non ho una risposta pronta. Ma a tal proposito vi propongo un ultimo audiovisivo.
Si intitola "In the wake of the coup" e racconta l'atmosfera nelle strade di Bangkok nelle prime ore del golpe militare di un anno fa, quando il premier thailandese (Shinawatra) si trovava a NY nella sede dell'Onu e truppe dell'esercito e carri armati agli ordini dei generali hanno occupato le strade del paese e i luoghi istituzionali (definito colpo di stato soft, perchè il presidente destituito era impopolare e perchè non c'è stato spargimento di sangue). E' un'operazione di Yahoo! News (giornalista: Ezra Palmer) che ha utilizzato esclusivamente foto degli utenti Flickr, cittadini che hanno messo in condivisione le loro immagini su questo noto sito di photo-sharing: fotogiornalismo 2.0 per antonomasia.


Infine, chiudo il cerchio e tornando al web 2.0 di cui ho parlato all'inizio del mio intervento: per preparare questo intervento ho utilizzato solo strumenti appartenenti al web 2.0. Per l'esattezza Furl, Trailfire, Google Reader, Box.net, Google Docs, Blogger in modo da poter avere ovunque a portata di mouse i materiali e i documenti necessari al suo completamento e in modo da renderli disponibili sul web, con questo blog.

Leonardo Brogioni

domenica 7 ottobre 2007

Fotogiornalismo 2.0 – Scenari: dalla carta stampata alla rete

CONVEGNO
Fotogiornalismo 2.0 – Scenari: dalla carta stampata alla rete
Nuovo Spazio Guicciardini, via Melloni 3, Milano
sabato 13 ottobre 2007 – dalle ore 9.15 alle ore 13.00 e dalle 14.00 alle 16.00

Introduce e coordina i lavori:
Mario Tedeschini Lalli, caporedattore multimedia Kataweb – Multimedialità e giornalismo
Intervengono nel corso della mattinata:
Leonardo Brogioni, fotografo - Fotogiornalismo da ascoltare: una panoramica.
Carlo Annese, “La Gazzetta dello Sport” – Dalle photogallery ai reportage multimediali. L’immagine nell’informazione online: tre casi a confronto
Vittorio Sabadin, vicedirettore de “La Stampa” – Quello che possiamo imparare dai dinosauri.

Nel pomeriggio, presentazione e proiezione di vari progetti multimediali :
Laura Serani, Wilfrid EstèveTerritoires de Fictions, Piccole Opere Multimediali
Davide Monteleone, fotografo – Aut
Marcello Mencarini, fotografo – L’esperienza di Makadam
Seguiranno altre proiezioni.
Conclusioni di Mario Tedeschini Lalli.

Il convegno, organizzato da Fotografia & Informazione e da GRIN (Gruppo Redattori Iconografici Nazionale), affronterà il tema dell’evoluzione della fotografia giornalistica e dei giornali, nell’epoca della comunicazione digitale. È rivolto a giornalisti, fotogiornalisti, photo editor, art director, studenti e docenti delle scuole di giornalismo, dei corsi di Scienze della Comunicazione e di fotografia ed è aperto a tutti.